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Agroecologia: capire la natura per ritrovare bellezza e lavoro

L’agricoltura biologica ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma il modello agroindustriale rimane ancora dominante e la superficie agricola utilizzata è in costante diminuzione. Il riscaldamento globale e la disoccupazione ormai strutturale richiedono una svolta culturale e un’adesione convinta all’agroecologia. Il prof. Fabio Caporali ci guida alla riscoperta di un patrimonio dimenticato. 

Negli ultimi anni l’agricoltura biologica è cresciuta esponenzialmente in Italia, tanto che ormai sono oltre 70 mila le aziende che la praticano e quasi 1,8 milioni gli ettari coltivati secondo i suoi principi. Nel 2016, sono stati convertiti al biologico ben 300mila ettari e il settore ha fatto registrare un notevole aumento anche nell’occupazione, con un +20,3% di operatori. E il trend sembra essere confermato anche dal 2017.

Numeri importanti che, malgrado le irregolarità di alcuni produttori, ci regalano un primato finalmente positivo a livello europeo. Numeri che però si rivelano insufficienti se relazionati al quadro generale: in Italia, infatti, la superficie agricola utilizzata è pari a 12,4 milioni di ettari ed è in costante diminuzione, visto che, dal 1990 ai giorni nostri, si è ridotta di quasi il 20%.

Inoltre,  la politica pubblica del settore a livello europeo, la PAC (Politica Agricola Comune), beneficia soprattutto i grandi proprietari terrieri e i BIG dell’agrobusiness, a cui destina una cospicua fetta dei 400 miliardi previsti dal piano 2014-2020, attualmente in corso. Un bel problema, considerando anche che la proprietà agraria in Europa è sempre più concentrata: il 3% delle aziende occupa più del 50% del territorio. E, pur segnando un passo in avanti, il nuovo regolamento UE sul biologico, che entrerà in vigore dal 2021, lascia più di qualche perplessità.

Nonostante alcuni segnali positivi, dunque, lo scenario attuale non fa ancora intravedere il declino di quel paradigma agroindustriale che ha segnato la rottura con tradizioni secolari e ha finito per stravolgere il panorama italiano negli ultimi 70 anni: monoculture e allevamenti intensivi, con le prime dipendenti dall’utilizzo massiccio di fertilizzanti e pesticidi chimici e i secondi che ammassano gli animali in spazi ristretti, li bombardano di antibiotici e li nutrono con mangimi che non ricordano nemmeno lontanamente la loro alimentazione naturale.

Tuttavia, l’emergenza climatica e la disoccupazione ormai strutturale rendono sempre più necessaria l’adesione a un modello capillare ed ecosostenibile, in grado di creare lavoro diffuso. Un modello che risponde al nome di agroecologia, filone scientifico di cui fa parte la sempre più diffusa agricoltura biologica e la cui applicazione è ormai riconosciuta come “una necessità sia dai centri accademici sia dalle grandi organizzazioni internazionali, come la FAO”.

<<L’agroecologia applica la visione ecologica all’agricoltura>>, mi spiega Fabio Caporali, Professore ordinario di Ecologia agraria all’Università della Tuscia di Viterbo, tra i massimi esperti e punti di riferimento dell’agroecologia a livello mondiale. <<L’ecologia è innanzitutto un metodo di conoscenza. Ti fa vedere la realtà in maniera sistemica, individuando i collegamenti fra tutte le parti. E’ questo il significato dell’ecologia. E’ una scienza delle relazioni>>. Una rivoluzione copernicana in un’epoca come la nostra, in cui regna la specializzazione. <<Si è perso il quadro complessivo. Tutti si sentono specializzati e nessuno è più capace di raccordare e di avere il possesso della realtà come sistema integrale. Siamo stati portati a un livello culturale di frammentazione che è una barbarie>>.

Così come è una barbarie la tendenza dell’uomo a considerarsi l’unico a lavorare. <<Quando si parla di lavoro ci si riferisce solo alla componente umana, sembra che il lavoro sia un’esclusiva dell’uomo. Invece, tutti lavorano in natura, tutti gli organismi lavorano. L’ecologia dice che ciascuna specie occupa una nicchia ecologica, cioè svolge un lavoro che è di utilità per l’intera biosfera, per l’intero complesso della vita di questo pianeta>>.

L’alfabeto della natura

Allora bisogna ripartire dall’alfabeto della natura e capire come funziona il mondo della vita sulla terra. Tutto parte dalla radiazione solare. <<La radiazione solare dà l’input al pianeta e attraverso di esso avvengono tutti i lavori della natura: si riscalda l’atmosfera, si muovono le acque, il vento, tutto circola. Tutta l’attività del pianeta viene attivata dall’energia solare. Per compiere un lavoro ci vuole un’energia ed è il sole che ce la dà. Se non ci fosse il sole, si spegnerebbe tutto il resto: la terra, come una pila, si scaricherebbe completamente. Il sole ci carica continuamente e la pila si ricarica continuamente>>.

L’energia del sole è utilizzata dalla natura attraverso l’attività delle tre fondamentali categorie di organismi che compiono il ciclo della materia: i produttori, i consumatori e i decompositori.

<<I produttori sono le piante, che, attraverso il processo di fotosintesi, trasformano l’energia solare in un altro tipo di energia, la biomassa vegetale. Quella che chiamiamo biomassa è energia solare trasformata: da energia radiante diventa energia di tessuto chimico vegetale>>.

E’ a questo punto che entra in gioco la seconda categoria, quella dei consumatori. <<Una parte di questa biomassa viene prelevata e trasformata in biomassa animale dagli erbivori, prima, e dai carnivori e/o onnivori, dopo. Quando la pianta viene mangiata da un animale, l’energia della pianta diventa energia dell’animale. L’uomo stesso deve la sua forma, il suo corpo a ciò che mangia, al nutrimento. C’è tutto un trasferimento di energia lungo le catene alimentari che portano a un continuo rinnovamento delle forme>>.

Infine, arrivano i decompositori. <<Quando tutti gli organismi muoiono, ciò che emettono va a finire nelle lettiere, nel suolo, e siccome è sostanza organica, materiale ricco energeticamente, viene attaccato da microrganismi, i cosiddetti decompositori. Per ogni cucchiaino di suolo ci sono miliardi di questi microrganismi>>. Che chiudono il ciclo della materia. <<Riportano questa sostanza organica allo stato minerale. E alcuni creano il collante per le particelle del suolo, formano dei glomeruli, che trattengono l’acqua, l’aria, e danno fertilità>>.

Senza bisogno di fertilizzanti chimici. <<La fertilità del suolo è un meccanismo dovuto ai microrganismi, che dev’essere mantenuto necessariamente. Non è dovuta all’azoto che gli diamo, a tutti i composti chimici utilizzati dall’agricoltura industriale, ma ai microrganismi. L’agricoltura industriale non considera quei componenti, mentre l’agricoltura biologica, per principio, dovrebbe considerarli. Per fare agricoltura, non si può distruggere la fertilità del suolo>>.

Agroecologia vs modello industriale

Per valorizzare l’interdipendenza tra i diversi componenti e la loro capacità di rinnovarsi continuamente, l’agroecologia, nella sua massima espressione, prevede la coesistenza di agricoltura e allevamento. <<Allevare gli animali dà carne, latte, lana, ma anche il letame che poi si può reimpiegare, creando un’economia circolare. Dare il letame degli animali al terreno serve ai microrganismi per fare la sostanza organica e l’humus, che lega le particelle del terreno fra di loro e lo rende come una spugna, adatto ad assorbire l’acqua. L’agroecosistema (un ecosistema utilizzato a scopi agrari, ndr.) funziona secondo leggi naturali, biologiche, che bisogna rispettare>>.

Rispettarle significa mantenere il più possibile la complessità degli ecosistemi. <<L’agricoltura biologica si basa sul principio di intensificazione ecologica, cioè di complicare il sistema agrario sia dentro il campo, con le rotazioni e le consociazioni, sia fuori dal campo con le siepi, l’agroforesty (l’agroforestazione prevede la presenza di alberi e arbusti, in combinazione con colture o allevamenti, ndr. ) e tutte le situazioni che implicano un maggior numero di piante>>.

E’ questa una cruciale differenza con l’agricoltura convenzionale, che, limitandosi a fornire prodotti commerciabili, si focalizza esclusivamente sul campo coltivato e trascura l’importanza della diversificazione colturale e della vegetazione circostante. L’eccessiva semplificazione del sistema industriale comporta una serie di conseguenze negative, tra cui: una maggior esposizione alle malattie, data dal notevole aumento di fitofagi e patogeni; una maggior interferenza con l’ambiente circostante; un inefficiente sfruttamento delle risorse native, come la radiazione solare, le precipitazioni e l’azoto atmosferico. Al contrario, la complicazione prevista dall’approccio agroecologico garantisce un miglior controllo dei nemici naturali, una minor interferenza con il contesto limitrofo e un miglior sfruttamento delle risorse, da cui dipende l’autonomia dell’agroecosistema.

Tra le positive implicazioni del principio d’intensificazione ecologica, spiccano anche i benefici dell’agroecologia nella lotta al riscaldamento globale. L’agroecologia, infatti, non solo produce beni di sussistenza ma riduce anche i gas serra nell’atmosfera. <<C’è chi li butta e c’è che li leva. Con l’agricoltura si possono levare. Per rimuovere la CO2 dall’atmosfera servono le piante. Non c’è un altro sistema>>.

Chi invece i gas serra nell’atmosfera li disperde eccome è l’agricoltura industriale, che si affida a macchinari e prodotti chimici per massimizzare la produzione e colmare le lacune della semplificazione. <<Se il criterio dell’agroecologia è multifunzionale, e prevede una molteplicità di attività, quello industriale è di affidarsi alle macchine, specializzarsi nel far quello>>. Il suo sviluppo è legato alla grande disponibilità di combustibili fossili. <<Visto che facevano pagare poco l’energia fossile, si è preferito usare una macchina piuttosto di usare la manodopera>>.

Un prezzo che, però, tutt’ora non tiene conto degli effetti nocivi. <<Costa poco l’energia perché non include i costi che gravano sull’inquinamento ambientale. Non comprende, quindi, le esternalità che poi paga la società>>. Un danno per molti e un beneficio per pochi. <<E’ una distorsione politica, influenzata dalle lobby di chi guadagna a spese della società>>.

Con pesanti conseguenze anche sul lavoro. <<Ora non abbiamo più agricoltori, ma disoccupati: abbiamo l’11% di disoccupati e in agricoltura lavora solo il 2% della popolazione>>. Una perdita enorme anche in termini di qualità. <<L’uomo consuma meno energia e può fare un lavoro molto più accurato rispetto alle macchine. Intendiamoci, le macchine servono, per sollevare l’uomo dalla fatica. Ma ci vuole una tecnologia intermedia, a misura d’uomo. La macchina per l’uomo è fondamentale ma non abbiamo bisogno delle macchine che sostituiscano completamente l’uomo>>.

La sostituzione delle macchine all’uomo si è scontrata, spesso, con la morfologia del territorio italiano. <<Il grande macchinario va bene su estensioni enormi, negli Stati Uniti, in Canada, in Argentina, nelle grandi pianure, dove lavorano su decine di migliaia di ettari, ma è tutta un’altra dimensione. Noi qui abbiamo la cultura, la tradizione, che ci fa capire che anche su 3 o 4 ettari, se coltivati bene, l’agricoltura può continuare per secoli>>.

L’impatto dei grandi macchinari ha alterato profondamente il paesaggio e disperso un patrimonio di sapere e di lavoro. <<Ci sono trattati, scritti da stranieri, che descrivevano l’Italia come un paradiso. Nel 1800, certe zone d’Italia erano considerate un paradiso dal punto di vista del panorama, dell’ambiente, della bellezza, perché c’erano gli agricoltori che curavano la campagna e la rendevano bella>>. Ad esempio con i terrazzamenti, oggi sempre più rari. <<I terrazzamenti sono la massima espressone di ambienti modificati dall’uomo e sono adatti all’uso di macchine piccole e non grosse>>.

Ma il progresso dettava di impiegare i grandi macchinari, rendere tutto meccanizzato, togliere la manodopera perché costava. <<Ora, se vai nel Chianti, al posto di questi bei terrazzi, cosa trovi? Sono stati buttati giù e sostituiti con pendici a ritocchino per grandi vigneti, dove si lavora tutto con grosse macchine. Perché i piccoli proprietari han venduto a grandi investitori che hanno fatto monocolture di vite e hanno distrutto il panorama di un tempo. Questo è già successo anche nelle Langhe, dove son tutti vigneti. E se vai in Spagna son tutti uliveti. Sarà pur bello, ma non è funzionale>>. Perché il terrazzamento regolava il ciclo dell’acqua. <<Le acque procedono secondo la massima pendenza, quindi scendono in maniera ortogonale al piano. Se la pendenza è a ritocchino, diventano fiumi tra i filari di vite e provocano un’erosione che porta via tutto. Ma se tu le intercetti con un terrazzamento, s’infiltrano e non scorrono. E allora, invece di essere dannose, diventano utili>>.

In Toscana si trovava anche una delle migliori realizzazioni del sistema della mezzadria. <<La fattoria toscana era un sistema agrario suddiviso in poderi, ciascuno coordinato con gli altri, e in ciascun podere vivevano le famiglie. Sul territorio gestito a mezzadria, la popolazione veniva distribuita omogeneamente, ordinata secondo i bisogni. Perché, come principio, l’uomo abita il territorio. Non è che si concentra come oggi nelle realtà urbane, lasciando il deserto in molte zone rurali. Noi ci siamo concentrati perché abbiamo seguito il concetto dell’industrializzazione per cui bisogna star concentrati. Andiamo tutti in città e abbandoniamo tutto il resto>>.

E abbiamo perso di vista la nostra collocazione e il nostro ruolo nel mondo della vita. <<L’uomo è fatto per la cura e sul territorio è un presidio, se ne prende cura, lo sistema. Se c’è una pendice nel territorio, la sistema. Fa un muretto. L’ha sempre fatto. Non è che ci vuole la scienza per questo. Lo fa perché istintivamente mette ordine nella natura. L’uomo è la coscienza della natura, non è fuori dalla natura. Ma bisogna che esprima questa coscienza. Essere la coscienza e averne consapevolezza ti fa essere premuroso>>.

Una prospettiva di responsabilità nei confronti di un sistema gigantesco, complicatissimo e perfetto. <<Noi siamo parte di un meccanismo più grande di noi, che è la biosfera, che continua a vivere. La biosfera vive, ma vive per miliardi di anni. E questo è il punto sostanziale. C’è un grande organismo, quello terrestre, che vive e supera la vita di tutti gli altri piccoli organismi, che sono come cellule di un grande organismo. Allora quando pensi a questa cosa dici: ma guarda quant’è bello il nostro mondo! Però bisogna capirle queste cose. Perché se non le capisci, non vedi nemmeno la bellezza>>.

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Photo Credit

Foto di copertina: Members of an organic community supported agriculture farm near Rostock, Germany, support the farmer by plugging weeds from the beet root field – By Smaack – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49011975

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